Emma Carelli nacque a Napoli il 12 Maggio 1877. Il padre, Beniamino Carelli, era un insegnante di canto molto apprezzato nell’ambiante del teatro d’opera italiano, e iniziò le sue due figlie femmine alla musica. Emma esordì a diciannove anni, casualmente, al posto della sorella maggiore, Bice Carelli, che si era ammalata prima di uno spettacolo. Fu un successo. Da allora fino al 1900 cantò nei maggiori teatri italiani e iniziò a far parlare di sé perché da subito si impose, lei sola tra tante, come la più adatta interprete dei nuovi soggetti femminili, ribelli e combattivi, nati in quell’epoca. Dopo i tripudi nazionali arrivò la consacrazione mondiale. Nel giugno del 1900 interpretò Tosca a Buenos Aires: fu la prima artista a portare il capolavoro pucciniano fuori dall’Italia. La prima assoluta era stata a Roma al Teatro Costanzi (oggi Teatro dell’Opera), il 14 gennaio di quello stesso anno. Il cast sudamericano era lo stesso, a parte il ruolo di Tosca.
Il trionfo in Sudamerica fece della Carelli una delle artiste più quotate al mondo, anche perché la presenza di immigrati europei in quel continente aveva raggiunto in pochi anni la cifra di dieci milioni.
Il suo matrimonio del 1898 con il sindacalista rivoluzionario Walter Mocchi era una prova ulteriore di quel carattere indomito e anticonvenzionale dell’artista, non solo sul palcoscenico. Una figlia della borghesia non doveva stare con un ribelle che avrebbe ribaltato l’ordine sociale. Mocchi aveva posizioni politiche talmente estreme da essere chiamato “l’anarchico”.
Anche negli ambienti socialisti l’unione di Mocchi con la borghese Emma Carelli era mal tollerato. Questo amore turbolento e scandaloso portò la Carelli sull’orlo del baratro: nel settembre del 1904, quando avrebbe dovuto aprire la stagione del Teatro Lirico a Milano, avendo sottoscritto un contratto diversi mesi prima, le fu improvvisamente tolta la parte.
Il direttore del teatro le fece presente che, per protestare contro il marito a capo dello sciopero generale in corso a Milano, il pubblico l’avrebbe fischiata di sicuro.
Emma Carelli ingoiò quattro pastiglie di sublimato corrosivo e fu ricoverata in ospedale.
Dell’avvenimento parlarono tutti i giornali del mondo, e alcuni esteri la diedero per morta. L’Avanti! scrisse che” i borghesi non si fanno scrupoli e giocano sporco anche con i sentimenti pur di mantenere il sistema di potere consolidato”.
Quello che per Emma Carelli fu una sciagura, per Walter Mocchi fu l’anno di massimo successo politico.
Da tempo aveva fondato con Arturo Labriola L’avanguardia socialista, di cui era unico proprietario, e condirettore. Questo settimanale era la voce della corrente socialista più intransigente. Collaboravano le firme più importanti e quelle emergenti del socialismo italiano.
Anche il giovane Benito Mussolini si fregiava di scrivere per la rivista di Mocchi.
Il futuro Duce riconoscerà che l’esperienza sindacalista rivoluzionaria fu per lui importantissima.
Ma nel matrimonio più contestato nella società italiana, chi ebbe la peggio fu la Carelli.
Eppure la sua tempra, la tempra della bipede Leonessa (come la definì Gabriele D’Annunzio), portò Emma a risorgere, a calcare ancora i teatri più famosi al mondo. In Italia, infatti, molti impresari erano restii a scritturarla per via della questione politica, ancora più delicata dopo il tentato suicidio.
Le registrazioni delle arie che ci restano di Emma Carelli sono del 1905, eseguite a Milano e a Parigi. Emma diventò davvero la regina del mondo latino-americano: nel teatro Colón di Rosario venne apposta una targa di bronzo che ricordava i successi della “divina Emma Carelli”.
Nel frattempo, Walter Mocchi si era presentato alle elezioni dell’autunno di quel 1904 senza alcun successo. Deluso o escluso dalla politica, si trasformò in un impresario teatrale. Continuò a scrivere articoli di propaganda politica e a firmare manifesti, ma era sempre più preso dagli affari, al seguito della moglie nelle tournée in Sudamerica.
A partire dal 1907, Mocchi fu il manager della lirica italiana nel mondo, nel momento in cui esso rappresentava un settore produttivo fondamentale, come oggi quello audiovisivo. Le società da lui fondate o nelle quali aveva interessi (come la STIA, la STIN, la Teatral), presto conquistarono il monopolio del teatro d’opera in Sud America e gestirono i più importanti teatri italiani. La sua idea fu tanto semplice quanto innovativa: racchiudere in un unico organismo tutte le compagnie teatrali e sfruttare ampiamente l’alternanza delle stagioni tra gli emisferi: ottenne così cartelloni di spettacoli ininterrotti e raddoppiò i proventi.
Anche il teatro Costanzi di Roma entrò nel circuito di Mocchi il quale, quasi sempre all’estero, ne propose la gestione a Emma Carelli. La diva raccolse la sfida e venne fondata una società apposita: l’Impresa Teatro Costanzi con lei a capo. Cantante e manager: Emma provò a essere entrambi. Ma presto si rese conto che era impossibile e abbandonò per sempre il palcoscenico dedicandosi solo alla vita manageriale: dal 1912 fino al 1926 Emma Carelli fu l’impresaria del teatro Costanzi, affermandosi come una delle più più importanti innovatrici culturali del momento.
Il rapporto con il marito si trasformò in un rapporto prettamente di lavoro, considerando i troppo espliciti tradimenti di lui. Forse anche per questo la Carelli dedicò anima e corpo al suo lavoro andando ad abitare proprio dentro al teatro, con un appartamento che affacciava quasi sul palco di proscenio.
Le sperimentazioni della Carelli dividevano il pubblico operistico ma avvicinavano tutti al teatro: nel 1913 aprì il Costanzi ai Futuristi, agli artisti esordienti e ad opere del repertorio tedesco che prima del suo operato non erano mai passate sulle scene italiane, come Parsifal.
Quando scoppiò la prima guerra mondiale mise a disposizione il teatro per la causa interventista e insieme al suo amico D’Annunzio organizzò serate per la Croce Rossa.
Durante il conflitto non cessò le attività, come facevano i teatri concorrenti. Anzi, nel 1917, mentre anche la Scala di Milano aveva chiuso i battenti, portò a Roma i Balletti russi di Diaghilev con Stravinskij a dirigere L’uccello di fuoco e Fuoco d’artificio. Nel foyer del teatro Pablo Picasso espose per la prima volta in Italia un proprio dipinto.
Tutti parlavano di questa donna che aveva condotto il teatro Costanzi a superare per importanza tutti gli altri teatri italiani. Il Musical Times sottolineò che il solo teatro in Europa a mantenere un cartellone degno di questo nome era un quello di Roma, gestito da una donna.
Il 1918 fu anche l’anno in cui le donne toccarono il punto più alto di emancipazione.
La guerra le aveva portate nelle fabbriche e negli uffici al posto degli uomini al fronte. Ma con la pace i maschi tornarono e scalzarle dai posti di lavoro in tutta Europa. Questo clima di “restaurazione” si fece sentire anche per quelle donne che si erano fatte una posizione nel campo degli affari e del potere.
Emma Carelli restò in sella anche con l’avvento del Fascismo. Ma dal 1924 le cose iniziarono a cambiare. L’assassinio Matteotti nel giugno di quell’anno segnò un punto di svolta per l’Italia. Ed ebbe anche una diretta conseguenza nel mondo del teatro d’opera: Titta Ruffo, famoso baritono con cui Emma aveva cantato anche in Russia e cognato del parlamentare ucciso, decise di non cantare più in Italia in segno di protesta.
Proprio in quell’estate del 1924, anche per Emma Carelli le cose iniziarono a complicarsi.
L’impresaria premeva per portare in scena il Nerone di Arrigo Boito dopo la prima assoluta alla Scala.
Il teatro milanese era diretto da Arturo Toscanini, da subito entrato in conflitto con Benito Mussolini, il quale voleva controllare il più grande teatro d’opera italiano. Ma Toscanini si rifiutò di chinare la testa.
Così il Fascismo iniziò a pensare di costruire o acquisire un teatro nella capitale che fosse di rappresentanza per il regime e da contrapporre alla Scala e a Toscanini. In un disegno di legge di Achille Starace del 1925 si legge: “Il Governo deve occuparsi del teatro lirico italiano che è formidabile strumento di propaganda nel mondo. Bisogna dotare Roma di un grande Teatro di Stato dell’Opera”.
Emma Carelli e Arturo Toscanini si conoscevano e si stimavano reciprocamente. Pare che la Carelli fosse l’unica in grado di tener testa al carattere burrascoso del Maestro.
All’apice della sua carriera di cantante, la Carelli guadagnava tre volte tanto Toscanini, e di questo il Maestro si lamentava in pubblico.
Tra i due c’era dunque rispetto ma anche concorrenza. E quando dovette scegliere quale teatro dovesse mettere nuovamente in scena il Nerone venne scartato il Costanzi, malgrado bozze di contratto e incontri. A Emma Carelli non fu concessa l’opera, i cui diritti erano detenuti dall’editore Ricordi. Nelle lettere di questo periodo la manager del Costanzi cerca di capire cosa stia accadendo intorno a lei, non comprende perché “tutti remano contro”.
Malgrado il clima di ostracismo che per eterogenei motivi circondava la Carelli (la ferma volontà del governo di avere a Roma un grande teatro lirico nazionale, la concorrenza spietata, il deficit delle società che gestiva Mocchi, schieratosi nel frattempo con i fascisti), la donna-impresaria resistette alla guida del teatro portando a termine la stagione 1925-1926. Riuscì addirittura a ottenere per il suo teatro una prima di Turandot di Giacomo Puccini alternativa all’edizione scaligera.
Puccini era morto da pochi mesi lasciando incompiuta l’opera che venne ultimata da Franco Alfano.
La prima di Turandot fu eseguita il 25 Aprile 1926 alla Scala, per volontà dello stesso Puccini.
E diretta da Toscanini che, sull’ultima nota scritta dal compositore, lasciò la bacchetta e disse che l’opera si interrompeva in quel punto.
Tre giorni dopo, al teatro Costanzi, fu eseguita Turandot per intero.
Questo fu l’ultimo successo della donna manager, che sperava – nonostante gli innumerevoli problemi di gestione – di mantenere almeno la direzione artistica anche sotto una futura proprietà statale. Quello che la Carelli non sapeva era che dal Novembre 1925 (dunque già da sei mesi) le sue sorti erano segnate. In seguito a una lettera anonima che denunciava la Carelli come contraria al fascismo, il Ministero degli Interni aveva aperto un fascicolo su di lei (inedito fino a oggi e conservato nell’Archivio Centrale dello Stato). La conclusione dell’indagine “riservatissima” portò alla conclusione che “la signora Carelli ha sviluppato un carattere indipendente che non si piega sotto alcuna disciplina”.
Si decretò che la Carelli osteggiava il governo e i dirigenti fascisti non tanto per questioni politiche, quanto perché questi non davano finanziamenti al suo teatro. E proprio questo atteggiamento la rendeva inadatta a rientrare nel nuovo programma voluto dal Duce. Ormai la vendita è fissata per fine giugno. È curioso constatare che il 21 giugno Emma Carelli scriva una lettera quasi di supplica al Governatore di Roma per la nomina a direttrice artistica, ma la risposta è vaga e prende tempo. Il giorno prima della vendita, Pietro Mascagni scrive una lunga lettera al Duce, un programma per la musica d’opera in Italia di 12 pagine in cui, pur non nominando mai direttamente la Carelli, la scredita.
Il 25 Giugno 1926 il Governatore di Roma, sotto la pressione del governo centrale, acquistò le mura del teatro Costanzi. Emma Carelli, che tra le altre cose aveva già preparato i manifesti per la stagione 1926-1927, non si vide rinnovato alcun incarico nonostante l’esperienza e i grandi successi ottenuti negli anni precedenti. L’altro azionista, il marito Mocchi, non era per nulla dispiaciuto di aver “venduto” il teatro al Governatorato di Roma, preso dai nuovi affari in Brasile e dalla sua relazione con la giovanissima Bidu Sayão, soprano talentuosa lanciata quell’anno proprio dalla Carelli.
Rimasta sola, nessuno propose più a Emma un nuovo lavoro, una nuova avventura.
Il 17 agosto 1928, a cinque mesi dall’inaugurazione del nuovo Teatro Reale dell’Opera, Emma Carelli sbandò con la sua Lambda che la schiacciò e ne cancellò la memoria di donna artista e manager.
Almeno fino a oggi.